martedì 15 gennaio 2008

La Boème al Cine-Teatro Ariston di Giulianova




Rete Abruzzese per lo Spettacolo

COMUNICATO STAMPA


La Bohème al Cine Ariston di Giulianova


Giovedì 17 gennaio 2008 ore 21.00


La Bohème
Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Musica di Giacomo Puccini

Orchestra e Coro del Teatro Marrucino
Maestro Concertatore e Direttore d’Orchestra
Claudio Desderi
Regia Matelda Cappelletti
Maestro del Coro Fabio D’Orazio
Scenografia Trui Malten
Costumi Massimo Poli

Le altre date
18 gennaio 2008 Teatro Maria Caniglia di Sulmona ore 21.00
21 gennaio 2008 Cine Globo di Vasto ore 21.00
22 e 23 gennaio 2008 Teatro Comunale di Atri ore 21.00
24 gennaio 2008 Teatro Fenaroli di Lanciano ore 21.00
2 febbraio 2008 Teatro Massimo di Pescara ore 21.00
3 febbraio 2008 Teatro Comunale di Città Sant’Angelo ore 21.00


Giovedì 17 gennaio 2008, alle ore 21.00, al Cine Ariston di Giulianova, sarà messa in scena l’opera lirica La Bohème. L’opera pucciniana è la prima delle quattro che andranno in tournèe per il Progetto Rete Abruzzese per lo Spettacolo, promosso dal Ministero dei Beni e le Attività Culturali e dalla Regione Abruzzo, e con l’apporto delle quattro Province e diversi Comuni.
Ispirato al romanzo di Henry Murger Scènes de la vie de Bohème, il libretto ebbe una gestazione abbastanza laboriosa, per la difficoltà di adattare le situazioni e i personaggi del testo originario ai rigidi schemi e all'intelaiatura di un'opera musicale. L'orchestrazione della partitura procedette invece speditamente e fu completata nel dicembre 1895.


La Bohème vista dal Maestro Claudio Desderi

«Bohéme, partitura illuminante che offre emozioni ai giovani e meno giovani: tutti ci sentiamo individualmente destinatari del linguaggio musicale che sgorga come un fiume in piena, talvolta o che, talaltra, si centellina come gocce preziose di una essenza cristallina. E’ una delle tante straordinarie caratteristiche peculiari di quest’Opera che ci proponiamo di offrire come apertura di Stagione, coinvolgendo un gruppo di giovani cantanti selezionati e vincitori di Concorso.
Un percorso affascinante che ha anche aiutato ad approfondire aspetti talvolta trascurati di questa partitura incredibile: la scena di Benoit – il padrone di casa - ad esempio, cinica, fredda come la casa affittata dallo strozzino cacciato, temporaneamente al certo, da uno stratagemma del pittore Marcello: musica quasi cabarettistica, evocativa del locale vizioso frequentato da Benoit e con strappi perfino anticipatori di un futuro Kurt Veill... Così come il Valse di Musetta, sensuale ed ammiccante svela il mondo del tabarin parigino dalla bella Otero alle inflessioni di Edith Piaff... Che dire infine del carattere dei due romantici (?) personaggi principali? Mimì, gaia fioraia, ha da lungo tempo messo gli occhi sul bel Rodolfo e lo adesca con la scusa della chiave... Lui, d’altronde, egoista ed incosciente, gode dei bei giorni ma certo non si responsabilizza granché... Dopo avere in pratica avvisato Mimì della sua morte imminente al temine dell’aria “Donde lieta uscì” quando la compagna gli comunica il proprio “addio senza rancor” Rodolfo non sa far altro che... tirare un sospiro di sollievo: Puccini, senza pause, senza interventi strumentali, senza tenerezze, non gli fa dire altro, che, su una nota ribattuta, “ Dunque è proprio finita te ne vai te ne vai la mia piccina”!
Si capisce che il lasciarsi alla stagion dei fiori (di lì a poco più di un mese) non è che un mero compromesso. Come stupirsi poi se Mimì vuole andare a morire a casa di Rodolfo in modo da essere davvero indimenticabile (con i sensi di colpa, maturerà il ragazzo?). La musica così rarefatta degli ultimi istanti della vita di Mimì chiarisce assai bene che i tempi scapigliati di quei giovani si sono conclusi inequivocabilmente e le ultime invocazioni di Rodolfo sono sì strazio e pentimento ma anche addio definitivo alla spensieratezza di fronte al duro impatto con la realtà».



Perché piangiamo tutti per Mimì.
Il punto di vista della regista Matelda Cappelletti

«Prima di iniziare a studiare La Bohème avevo una sensazione generale di quest’opera, (senz’altro dovuta alla mia ignoranza, e forse, in misura minore, anche all’impressione che alcune edizioni di essa mi avevano lasciato), che si trattasse di una storia romantica e strappalacrime di amore e morte in cui una povera fioraia pudica e malata di tisi muore, come preannunciato, fra le braccia del suo innamorato Rodolfo, nello strazio generale di tutti.
Poi ho seguito i corsi del Maestro Desderi, ho iniziato a studiare il libretto e la partitura e ho scoperto un’opera che non conoscevo e che non è romantica e nemmeno sentimentale, ma piuttosto cruda e tanto interessante e moderna nelle sue rivoluzionarie intuizioni e anticipazioni musicali, letterarie e stilistiche che me ne sono completamente innamorata.


Il libretto de La Bohème, scritto da Luigi Illica e Giuseppe Giocosa assieme allo stesso Puccini, è tratto da Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger, ed
è una cronaca, che ritrae, con occhio già naturalistico, uno spaccato di vita di un gruppo di ragazzi di vent’anni (Musetta, è specificato, ne ha venti, Mimì ventidue e gli altri sono loro coetanei), che vivono secondo i principi, appunto, della Bohème. Rigorosamente a Parigi, in una soffitta gelida, bruciano la loro gioventù irresponsabile e libera - artisticamente e sessualmente - come tanti altri giovani artisti che hanno popolato il Caffè Momus e gli altri locali parigini del Quartiere Latino; là, dove, tra oppio, assenzio e alcol hanno consumato le loro brevi vite anche Van Gogh, Toulouse Lautrec, Monet, Degas, Baudelaire e tanti altri.
Rodolfo, Marcello, Shaunard e Colline sono quattro amici inseparabili, sedicenti artisti e intellettuali, squattrinati e felici: la povertà, il freddo cocente e la fame sono per loro una scelta di vita affascinante, finchè non sopraggiungerà brutale e improvvisa la fine di Mimì e della spensierata giovinezza di ciascuno di loro.
Mimì non si presenta affatto come una povera fioraia bigotta, malata e destinata a soccombere, anzi: è talmente vitale e vivace e spudorata, all’inizio della vicenda - quando, evidentemente, sceglie Rodolfo fra il gruppo, lo seduce e, la notte stessa della loro conoscenza, si trasferisce da lui nella soffitta - che la malattia e la morte le sono totalmente estranee; se non fosse per ciò che sente dire da Rodolfo a Marcello nel terzo quadro, non avrebbe, nemmeno a quel punto, capito di essere malata terminale di tubercolosi! E la tisi era diffusissima, e uccideva, come la peste, nel medioevo, come l’A.I.D.S., negli anni ’80, contagiosa e implacabile. Basti pensare a Chopin e George Sand che viaggiavano assieme e agli albergatori costretti a bruciare gli arredi delle stanze che avevano occupato, per tentare di evitare il contagio; o guardare il ritratto fatto da Monet alla sua compagna sul letto di morte, stroncata dalla tisi a vent’anni, e infiniti altri casi che riempivano le cronache di allora.
Rodolfo ha paura. E’ un ragazzo. Non vuole responsabilità, non vuole stare con una moribonda. Non ci pensa nemmeno a cambiare vita, ad andare a spaccare legna per scaldarla o a guadagnarsi qualche soldo“col sudor della fronte” per comprarle le medicine, è contro i suoi principi. A vent’anni è egoista: è normale. Non c’è niente di romantico nel suo rapporto con Mimì ed è fantastico proprio per questo. Per quanto è vero e drammatico e moderno e umano che un ragazzo abbia paura; che si lascino; che lei se ne vada a fare la mantenuta. E che torni alla fine, anche lei più per l’egoismo della malattia terminale che per sentimentalismo.Ben sapendo che Rodolfo ne avrebbe fatto volentieri a meno.
Gli altri ragazzi, Colline, Marcello, Musetta, Schaunard, assistono attoniti alla fine di un periodo di spensieratezza e di speranze. Un periodo che Puccini aveva vissuto intensamente sulla sua pelle pochi anni prima, nella Milano della Scapigliatura, dove aveva trascorso il periodo del Conservatorio, in cui aveva diviso soffitta e povertà con l’amico Mascagni. Anni indimenticabili e, come la giovinezza, perduti e irripetibili, che gli erano rimasti profondamente impressi nel cuore.
Per questo, forse, tutti piangiamo tanto alla fine?
Per noi stessi e per le nostre perdute occasioni? Comunque non - ahimè! - per Mimì».


Chieti, 15 gennaio 2008

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