giovedì 30 aprile 2009

La resistenza e la “pari dignità”

La resistenza e la “pari dignità”
Un precisazione del presidente del Raggruppamento nazionale combattenti e reduci RSI

Si è spenta, finalmente, la stucchevole polemica innescata da Dario Franceschini circa la “pari dignità” tra i caduti della Resistenza e quelli della RSI, che, secondo Berlusconi, combatterono dalla “parte sbagliata”; più esatto sarebbe stato dire: la “parte sconfitta”, e si sa da tutti che non sempre la ragione è dalla parte di chi vince. Ma chi erano i combattenti della RSI? Quelli che – secondo i giudici che condannarono Rodolfo Graziani, comandante supremo delle Forze Armate della RSI, agirono “per motivi di particolare valore morale e sociale”; ovvero coloro che, a parere del generale americano Dwight David Eisenhower, che sarà presidente degli Stati Uniti, “hanno riscattato l’onore del combattentismo italiano”.
Luciano Violante, nell’assumere la carica di Presidente della Camera dei deputati, disse che bisognava capire “i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò”. I “motivi”, in verità, era facile da capire: quei ragazzi non accettarono il tradimento badogliano e si rifiutarono di girare le armi contro i propri alleati. Ragazzi con spiccato senso dell’onore, educati in una Italia totalmente fascista; ragazzi che ebbero per maestri apologeti del regime come Giorgio Bocca, Eugenio Scalari, Indro Montanelli, Ingrao, Laiolo, Fanfani, eccetera, finanche Giorgio Napolitano, fervente giovane universitario fascista (GUF; persino il capo dei partigiani on. Boldrini sino al 25 luglio ’43 (caduta del fascismo) fu centurione della Milizia fascista. Personaggi che, nel momento che avvertirono opportuno, cambiarono casacca.
Torniamo alla “pari dignità”. Cosa ne pensano loro, i combattenti e reduci della RSI? Riportiamo di seguito il parere del presidente della loro associazione (Il Corriere d’Italia, 15 gennaio ’09)..

Soltanto recentemente ho potuto prendere visione di una proposta di legge d’iniziativa di 42 deputati della maggioranza parlamentare, datata 23 giugno 2008, relativa all’istituzione dell’Ordine del Tricolore da «attribuire a coloro che hanno partecipato alla seconda guerra mondiale». Comprendendovi, tra altri, «coloro che hanno fatto parte delle forze armate partigiane o gappiste delle formazioni che facevano riferimento alla Repubblica Sociale Italiana». Tutto questo - si legge nella presentazione - per «riconoscere, con animo ormai pacificato, la pari dignità di una partecipazione al conflitto avvenuta in uno dei momenti più drammatici e difficili da interpretare nella storia d’Italia». Una proposta di legge - si afferma - «coerente con la cultura di pace e di pacificazione della nuova Italia».
Credo sia riduttivo limitarci a rammentare come in realtà l’evocata «cultura di pace e di pacificazione della nuova Italia», venga espressa attualmente - e in ripetute occasioni - con un rinnovato e rabbioso ostracismo alle manifestazioni in ricordo dei Caduti della RSI, con annesse offese sacrileghe alle lapidi che ne ricordano il sacrificio. ‘Particolari’ evidentemente di pochissimo conto per i solerti sacerdoti della ‘pacificazione’, dai quali non ci risulta sia stata emessa alcuna esplicita ufficiale condanna di tanta soperchieria.
Argomento di fondo per rigettare l’offerta è che i superstiti combattenti della Repubblica Sociale Italiana aderenti al Raggruppamento Nazionale Combattenti e Reduci - RSI, fedeli al loro passato, non intendono partecipare all’ennesimo pateracchio messo in cantiere per individuabili motivazioni di consenso politico travestite malamente di ‘pacificazione nazionale’. Sottolineando nel contempo - e qui entra in gioco l’enunciata «pari dignità» - il più netto rifiuto (per ovvie considerazioni di carattere etico) a condividere con partigiani o gappisti qualsivoglia istituzione di riconoscimento.
Come ho già avuto occasione di affermare, una autentica pacificazione potrà avviarsi soltanto quando la Repubblica Italiana - questa Repubblica - prenderà atto, con tutte le conseguenze del caso, dei Valori politici, militari e sociali interpretati dalla RSI, al di fuori e al di sopra di ogni impensabile innaturale ammucchiata. Tutto il resto - Ordine del Tricolore compreso - appartiene alla sfera del non ricevibile, nel solco di una assoluta diversità originaria che appartiene al nostro DNA di Combattenti della Repubblica Sociale Italiana.
Questa, in sintesi, la nostra posizione come Raggruppamento, senza voler entrare nel dettaglio di una proposta di Legge permeata di ambiguo e approssimativo storicismo.
Gianni Rebaudengo
Presidente Nazionale RNCR-RSI

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