sabato 14 febbraio 2009

MIO PADRE : FRANCESCO MANOCCHIA, di Lino Manocchia dagli USA




Ricordi del passato

MIO PADRE : FRANCESCO MANOCCHIA
di Lino Manocchia
New York.Era l’una e un quarto del 29 febbraio 1944, un anno bisestile maledetto.Il sole,malgrado la stagione, riscaldava Giulianova,paese abruzzese,che veniva scosso,ancora una volta da una inaudita ondata di bombe lanciate dagli aerei inglesi,che in
breve lasciavano resti di macerie fumanti di case e persone.
Tra questi poveri corpi senza vita, c’era mio padre Francesco -55 anni-colpito alla fronte da una scheggia, e mio fratello minore Benito punteggiato da 13 scheggie di proiettili,lungo il corpo.
Francesco Manocchia,che Benito Mussolini e gli amici chiamavano
cordialmente “Francescuccio” era nato il 6 marzo 1889 da Lucia Macellaro e Pasquale Manocchia,di modeste condizioni sociali ed economiche. Forse non sarebbe stato ucciso da proiettili nemici, se nostra nonna Lucia non lo avesse convinto a non andare in America, su richiamo dei miei due zii di Pittsburg,ma a papa’ premeva piu’ la famiglia che una nuova vita nell’altro pianeta,e il consiglio della nonna fu accolto favorevolmente.
La sua vita fu una cornucopia di vicende politiche,professionali che
lo seguirono sino al suo tragico trapasso in quell’anno bisestile. Spesso lo seguivo in qualche battuta di caccia leggera ,ma lui che era un tiratore scelto confessava di preferire le saettanti beccacce e le pernici.
Mio padre era nato con la penna da scrivere nelle mani.A 18 anni era redattore de “La Provincia”,settimanale politico amministrativo di
Francesco Vicoli.Due anni dopo a Genova in uniforme di sott’ufficiale di Fanteria svolgeva una intensa attivita’militare vincendo anche tre medaglie d’oro (scherma,salto e disco) una delle quali vendetti all’orefice per 90 lire che consegnai a mio padre sorpreso ma pronto ad andare a comperare un bel torrone. Volontario in Libia ritorna da Tobruck a Giulianova per abbracciare mamma Lucia e quindi ripartire per il fronte. Nel giugno 1915 sulle colline di Selts,per atti valorosi viene nominato ufficiale dal Maresciallo d’Italia Cadorna che offre sentimenti di sincera stima. (Ricordo a Giulianova c’erano due o tre anziani che facevano a gara per andare a trovargli i vermi per l’esca delle anguille che amava pescare nel fiume Tordino. D’estate dopo il pranzo soleva compiere una passeggiata in campagna con me ,a scovare gli asparagi, mentre,confesso, avrei preferito dare quattro calci al pallone fatto con i copertoni delle biciclette, anche se mio fratello Franco era negato per la palla.
Da bambino nutrivo la speranza di diventare prete. Avevo anche un altarino dove spesso recitavo la Messa.Un giorno a Roma,mio padre, che conosceva bene il Cardinale Ascalesi ,(del Trattato Lateranense) gli espose il mio desiderio. Il prelato su un suo biglietto personale scrisse al Vescovo di Teramo di ammettermi gratis sino al raggiungimento del sacerdozio. Francescuccio,che il cardinale chiamava “la mitragliatrice”, non ci vide piu’’”Diventerai Cardinale mi diceva, io saro’ il tuo sacrestano.” Studiai due anni in Seminario ma ben presto il pensiero sfumo’.Non ebbi mai modo di conoscere il suo disappunto...o soddisfazione della “debacle” giovanile.
Francesco Manocchia era un padre premuroso. Di ritorno dalla partita serale con gli amici, poneva sui nostri comodini cioccolatini, caramelle e paste del famoso Germano.Era una magnifica “Befana” per tutte le stagioni. Ma guai se mio fratello Franco-che si alzava alle sei, per procurarsi una grossa fetta di pane con l’olio e pomodoro “razziava” anche il dolce di nostro padre !
Francesco Manocchia deciso, coraggioso in trincea durante sanguinosi attacchi guidati dal capitano Aprosio, riporto’ ferite e tra l’altro perse l’amata sorella Ida afflitta da un male incurabile. Per la sua convalescenza venne inviato ad Arezzo,San Giovanni Valdarno, e Montepulciano dove scrisse “I comandamenti del 1918”stampato in oltre 25 mila esemplari, ed una commedia in tre atti che gli fece conoscere Filomena Spadacci, una graziosa ragazza di origini senesi,che sposera’ a Torrita di Siena nel 1920.
La “Signorina Bonella” stampata in 6 mila esemplari,valse a mio padre il secondo posto nel Congresso Drammatico italiano con a capo il gigante della letteratura Luigi Pirandello. AL TAVOLO)
Qualche anno dopo Giacomo Acerbo, deputato al parlamento, quindi Presidente del Consiglio,nonche’ mio padrino di cresima, firmo’ la prefazione del libro”Salmi della Patria” dedicato ai giuliesi caduti nella Grande Guerra.
La carriera giornalistica di mio padre sembra non abbia mai fine. Oratore forbito,era un miscela esplosiva di estro, calcolo e impulsivita’,rifiuto’ incarichi politici salvo quello di segretario dei combattenti abruzzesi.”La sua coerenza,praticata con l’ingenua costanza propria dell’intellettuale,offre una visione romantica della vita, tanto diffusa dello scrittore Manocchia”, afferma lo storico Sandro Galantini, e crediamo, abbia centrato meglio di ogni altra cosa il carattere, la tenacia,la volonta’ di arrivare di mio padre, sul cui capo mulinava un cervello che ignorava il riposo. Un giorno,ricordo –avevo appena 18 anni- scrissi il mio primo articolo sulla “Maggiolata” di Giulianova, purtroppo fallii il colpo, e lui, guardandomi pietosamente disse: ”Cerca un’altra via.Il giornalismo non ti fara’ mai ricco.”
Vorrei tanto che mio padre mi vedesse oggi. Godrebbe senza dubbio del successo di suo figlio, nella nazione che l’ospita,ed ora sta per raggiungere il grande traguardo della vita’. Chissa’ se nell’al di la’ lo potro’ incontrare. Avremmo tante cose da dirci.
FRANCO E BENITO
Sono i figli giovani della famiglia, i quali adoravano il genitore che li seguiva con una pazienza certosina. Franco,studente a Teramo, dopo la laurea si dedico’ al giornalismo concludendo, la sua brillante carriera, nella redazione del Corriere della Sera, scrivendo servizi che riscossero anche il plauso di Dino Buzzati, che lo stimava. A scuola il professore ogni tanto riferiva, impensierendo ovviamente il genitore: “Franco non apre mai il libro. Ascolta la lezione, l’indomani la recita meglio dell’originale”. Buon sangue non mente.
Benito che gli americani chiamano “Benny” e’ stato corrispondente, dagli Stati Uniti, per 26 anni, della Rusconi effettuando servizi di vasta portata. Era il cucciolo di mamma, non che babbo lo ignorasse, ma di solito gli ultimi arrivati hanno quasi sempre quel “privilegio”.
materno. Era un pessimo terzino della squadra scolastica e di tanto in tanto tornava a casa con le scarpe rovinate.Da grande voleva diventare campione di pugilato. Ci provo’, una volta in America, ma i pugni, disse, non li considero miei amici.”
LINO MANOCCHIA

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