mercoledì 18 giugno 2008

Mostre. Sabato 21 giugno, ore 18:00, al MAS di Giulianova alta, opere di Ireneo Janni


Comunicato Stampa
Sabato 21 giugno, alle ore 18.00, nelle prestigiose sale del Museo d’Arte dello Splendore, di Giulianova Paese, sarà inaugurata una importante “Personale” di opere del M° e Architetto Ireneo Janni (comprendente oltre 50 opere tra oli, grafiche e sculture) che possiamo definire senz’altro “la Mostra della maturità dell’Artista, in cui è possibile ammirare il meglio della sua produzione” intitolata «Opere dal 1968 al 2008».
La Mostra resterà aperta dal 21 giugno al 20 luglio, col seguente orario: dal martedì al sabato ore 10-13 e 16-20. La domenica dalle 16 alle 20.

IRENEO JANNI, nato in Atri (Teramo) il 7 gennaio 1946, nella città di Pescara consegue maturità al Liceo Artistico poi la laurea in Architettura. Fin dal 1964 è invitato ad importanti mostre ottenendo premi e riconoscimenti. Dal 1966 al ‘69 si dedica alla realizzazione di Vetrate Artistiche per Enti pubblici e privati. Negli anni 70-73 è a Milano, dove svolge intensa attività frenquentando l’ambiente artistico di Brera. Espone a Parigi, Baden, Zurigo, Lucerna e in molte città italiane quali Firenze, Milano, Roma, Torino, conseguendo ampi consensi. Nel 1973 si trasferisce stabilmente a Roma partecipando attivamente alla vita artistico-culturale della Capitale, presentando opere che affrontano i temi politico-sociali ed ecologici in cui “l’uomo degli anni ‘70 si dibatte”. Nello stesso periodo è presente anche a Firenze con varie mostre personali e collettive. Negli anni Ottanta realizza il Monumento in bronzo ai Caduti della Resistenza, per il Comune di Atri, e il ripristino-restauro degli affreschi del Teatro Comunale; è presenta, inoltre, con mostre personali e collettive in Olanda, Nigeria e New York. Nel 1988 illustra l’Annuario Storico dell’Arma dei Carabinieri. Negli anni ‘90 il Comune di Foggia gli dedica un’ampia personale nel Palazzetto dell’Arte; nel 1991 Jacques Mesmin gli organizza una “Personale” nella sua “Art Gallery” di Bruxelles. Nel 1997 illustra nuovamente l’Annuario Storico dell’Arma dei Carabinieri, e nel ‘98 quello della Polizia Municipale del Comune di Roma; nello stesso anno realizza il Monumento ai Caduti del Comune di Pianella (Pescara). Nel 2000 altra grande mostra alla Gallerie Azur di Spa (Belgio) inaugurata dal Ministro della Cultura belga. Sempre nel 2000 realizza un imponente Monumento bronzeo per la città di Silvi (Teramo). Nel 2001 altro Monumento ai Caduti di Sella Ciarelli (Teramo). Nel 2002 di nuovo per l’Arma dei Carabinieri l’illustrazione dell’Agenda 2003. Nel 2004 è invitato dal Comune di Tuscania (Viterbo) per una Mostra Antologica, e in Sardegna, a Nuoro e Cagliari, per una “Collettiva”. 2005 di nuovo in Sardegna, a Baltei, Bono e Sassari. 2006 a Badesi (SS), Bitritto (BA); ha partecipato anche alla IV Mostra Internazionale di Grafica promossa dal Museo Michetti di Francavilla, con esposizioni a Città S. Angelo e Atri. 2007 di nuovo in Sardegna, a Sassari, Burgos (SS), e Bolotonia (NU). 2008, V Biennale Internazionale di Grafica, promossa dal Museo Michetti con esposizioni in Spagna e Cina.


La metafora della pittura (nell’opera di Ireneo Janni)
di Marialuisa De Santis
La pittura di Ireneo Janni si inquadra nella solida tradizione della figurazione italiana la cui vitalità è declinata oggi in numerose e diversificate soluzioni artistiche, nonostante l’irruzione, nei primi anni del Novecento, dell’astrattismo e, nel secondo dopoguerra, dell’informale e del concettuale che ne prevedevano un sostanziale depauperamento quando non addirittura l’estinzione.
La nuova figurazione, benché viva e vegeta, non può ovviamente prescindere dal superamento dell’idea dell’arte come riproduzione del reale tout court e pur avvalendosi di forme riconducibili alla realtà circostante, se ne serve per veicolare la visione esistenziale e del tutto personale dell’artista in una comunicazione il cui codice è da rintracciare e studiare di volta in volta.
Salta agli occhi subito che la suggestiva pittura di Ireneo Janni si giova di una raffinata tecnica e opera nella figurazione con un’attenzione particolare alla struttura prospettica, rigorosissima e curata e preparata come fosse una sorta di palcoscenico ideale destinato allo svolgimento dell’azione di personaggi per lo più femminili tracciati con bruniti colori e con una gestualità quasi simbolica.
Sicuramente non estranea a questa rigorosa costruzione dello spazio è la formazione dell’artista architetto e, come tale, alla ricerca di una bellezza “proporzionata” rapportata alle parti della figura umana in genere identificata con quella femminile.
L’architettura rappresenta una parte importante sulla tela di Janni; è l’elemento razionale che accoglie l’elemento vitale della femminilità. Interviene e definisce la relazione mentale e persino affettiva dell’artista con lo spazio. A volte l’architettura affiora come prepotente e ribadito legame con la tradizione, semplice capitello, fuga di variegate colonne o addirittura tempietto o linee di un soffitto; a volte, invece, si assottiglia in ipotetiche mura leggere, in pareti quasi sospese o in archi semplici, solitari e metafisici a ricordarci con Benjamin che l’architettura non ha conosciuto e non conosce pause e in un mondo di incertezze assurge al ruolo di mandala quasi simbolo di interezza che contiene in sé tutti gli opposti. La prospettiva è esibizione di tecnica sapiente, adoperata per concorrere ad un clima “straniante” in cui la pittura realistica, proprio nell’accumulo di particolari, apre inspiegabilmente ed improvvisamente al “visionario”.
Al nitore delle linee prospettiche si contrappone il calore barocco delle colorazioni. La figura femminile si dà nella sua pienezza carnale e nell’abbandono delle pose, col volto spesso coperto, o girato o rimandato improbabilmente da uno specchio. Questo allude alle istanze nascoste nel subconscio e nello stesso tempo è disvelamento o anelito al disvelamento di ciò che può essere riportato alla luce; quando addirittura la donna non si mostri del tutto senza testa, statua vivente e mutilata dall’impossibilità di riconoscersi nei vuoti stereotipi contemporanei.
Franco Simongini ha avuto modo di scrivere di Janni che nella sua “pittura c’è tutta una suggestione teatrale, barocca, sontuosa, l’ossessione cioè del personaggio, sia esso una donna nuda o una compagnia di figure in mostra o mascherate, che sembrano narrarci le loro storie…”. L’ossessione barocca è proprio in questa costrizione come subita che privilegia l’aspetto esteriore rispetto ai contenuti interiori, nella separazione tra l’essere e l’apparire e nella constatazione che quasi mai ciò che si vede è ciò che è, come avviene nella contraddittoria condizione esistenziale contemporanea. Il gioco barocco dell’esagerazione e dell’ambiguità è anche nel sopra ricordato simbolo dello specchio, allegoria sì di vanità e superbia, ma anche della conoscenza interiore. È pure diaframma tra il mondo del raziocinio e della realtà sensibile che la pittura non può più rappresentare pedissequamente, limitandosi a darne un pallido riflesso. Lo specchio è dal Rinascimento, proprio in ossequio all’acquisita convenzione prospettica, il simbolo stesso della Pittura. E alla grande tradizione pittorica italiana Janni si rifà nell’uso esclusivo e dichiarato dei colori ad olio, certo più complessi nell’uso rispetto ai moderni colori acrilici. Ma essi, oltre al dichiarato motivo “ideologico” di fedeltà alla antica tradizione pittorica italiana, rispondono sicuramente meglio alla sua esigenza di una pittura “calda” cromaticamente e “grassa” nello spessore, lontana dalla lucentezza resistente all’azione del tempo propria degli acrilici. La sua è una pittura che sfida l’azione di imbrunimento temporale e incanta come le velature del tramonto , metafore del mistero e dei fini dell’esistenza di cui le sue mirabili creature sembrano sempre più ignare.
Così le città “citate” da Ireneo Janni, Roma e Venezia ci seducono con la sensualità e la lievità del presente ma insieme annunciano le crepe del tempo e l’ossessione di una vita a cui troppo spesso non diamo un senso se non quello di un fatuo teatro.

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