sabato 12 luglio 2008

Arte. Si inaugurerà il 12 LUGLIO 2008 a Giulianova (TE) la grande mostra

“PANGEA”
A Giulianova nasce il “continente dell’Arte”

Si inaugurerà il 12 LUGLIO 2008 a Giulianova (TE) la grande mostra di artisti di varia provenienza e nazionalità allestita, col patrocinio del Comune di Giulianova, presso il fascinoso Palazzo Re, nel cuore della cittadina abruzzese.
Ispiratore e curatore dell’evento è Diego Esposito, artista affermato nonché professore all’Accademia di Belle Arti di Brera. A lui si deve la capillare “raccolta” di giovani artisti di tanti Paesi d’Europa e del Mondo, in ossequio ad una filosofia che vuole l’Arte come grande elemento unificatore di popoli e culture diversi.

Sotto la guida di Diego Esposito, i venti giovani artisti hanno dunque allestito la mostra utilizzando tutti gli spazi, interni ed esterni, messi a disposizione dal Palazzo, cantina compresa, per costruire un “percorso” artistico di grande fascino e ovviamente multi-tematico.
Il visitatore è accolto dalle installazioni delle artiste colombiane Diana Maria Perez, uno striscione recante un’unica, significativa parola, e Manuela de Los Angeles, che utilizzando un materiale semplicissimo e “ignobile” come le cassette di legno da frutta ha edificato, nella piazza antistante il palazzo, una vera e propria metafora della realtà delle favelas, un’abitazione interamente costruita dalle cassette vuote. Ogni artista porta insomma il proprio personalissimo contributo alla costruzione di questo mosaico che è la mostra, di questo caleidoscopio di modi di sentire e di rappresentare il mondo in tutti i suoi aspetti, delicati e speranzosi come anche tristi e disperati.
I coreani Kang Jang-Won e Chung Deuk-Jong propongono invece due video-installazioni, la prima montata su un manichino e incentrata sull’evoluzione e la crescita dell’Uomo – recuperando quasi il mito greco della Sfinge con la sua celebre allegoria; la seconda altrettanto affascinante, costituita da quattro filmati che si accompagnano e si intersecano, e si danno senso l’un l’altro, per così dire, dato che sono dedicati alla quotidianità vista nei suoi oggetti, tematica molto cara all’arte orientale contemporanea. Come dimostra l’opera di un altro artista coreano, Cho Yong Re, che costruisce un “puzzle” di oggetti dedicarti al mangiare, orientali e occidentali, a suggerire la vicinanza e la contemporanea lontananza proprio nel quotidiano delle due culture. Infine, per completare la folta presenza coreana, l’opera forse più eclettica, quella della artista Bang Su-Kong, che sfrutta il torrione laterale del Palazzo per installare dei grandi “bozzoli” sospesi a mezz’aria e sapientemente realizzati con petali di carta, uno ad uno, con infinita meticolosità e pazienza.
Dalla Corea alla Cina, con l’opera di Luan Xueyan, un’installazione che prende un’intera stanza nella quale la giovane artista ha steso, in forma di croce, due strisce di tessuto lavorato che fuoriescono dalle finestre, espandendo in un certo senso l’opera, “esplodendola” anche fuori dalla cornice ad essa dedicata. Un piccolo specchio rotondo appeso in centro alla croce completa l’installazione, da osservare prendendosi tutto il tempo, da lasciare agire su di sé senza la pretesa di imporle un immediato significato.
Sfrutta invece una semplice panchina esterna l’opera dello spagnolo Antonio Barea, che lavora con piccole mazzette di carta di giornale, “una per ogni giorno che ho trascorso in Italia”, come spiega lo stesso artista. Semplice carta di giornale che va a riempire un vuoto, a dare senso e a ridisegnare un oggetto (la panchina) e una funzione (lo starvi seduti sopra).
E veniamo alle presenze italiane, che pur non mancano in questo crogiuolo di nazionalità. Artista realmente autoctona in quanto originaria di Giulianova è Serena Vallese, che propone una grande installazione, una “serra” con intelaiatura metallica all’interno della quale, in un processo al contempo naturale e pilotato, selvatico e artificiale, crescono erba e altre piante. La sola presenza di un manto erboso all’interno di una delle stanze del Palazzo, circoscritto e ritagliato dalla struttura metallica della serra, è la miglior rappresentazione del conflitto tra naturale e artificiale cui l’artista sembra voler alludere.
Incentrata sul rapporto con la natura è anche l’opera di Marzia Rossi, che “coltiva” una pianta all’interno di un ombrello rovesciato, appeso in una stanza. Elemento naturale e fattore antropico qui si uniscono ancor più strettamente, creando una visione di grande fascino. Come anche quella, più strutturata se vogliamo, proposta da Luca Monterastelli: barattoli da farmacia, luce al neon, rose appena sbocciate immerse nel liquido, che cedono pian piano il loro colore al liquido stesso… Un’osmosi tra i due elementi, lo sciogliersi di uno nell’altro, un’opera in continuo divenire. Per passare dunque al lavoro di Monica Mazzone, che con pochi semplici elementi (delle “piastrelle” di cuoio, dei sacchi pure in pelle e delle intelaiature metalliche), crea giochi di luce e di significato in uno degli angoli più arcani e fascinosi di Palazzo Re. Giochi nei quali la dialettica sembra contrapporre i concetti di superficie e di profondità, di visibile e di intuibile, di evidente e di celato (dietro, o sotto, la pelle?).
E proseguiamo con la tecnica di ritratto pittorico assolutamente iperrealista di Andrea Riga, capace di cogliere ogni minimo dettaglio della pelle umana, del volto, considerato una sorta di trascrizione del quotidiano, un’opera storica che si costruisce giorno per giorno con l’aggiunta di ogni piccola ruga, di ogni capillare scoppiato o imperfezione superficiale. E che la pittura può e deve sapere “leggere” e rappresentare.
E, per concludere la ricca presenza italiana, il video di Giovanni Ficetola, abissale nei contenuti come nell’estetica, contaminato dal disegno e dalla pittura, che unisce scienza e magia, occultismo e ragione, alla ricerca di una sorta di religione del “dopo”, di sguardo (allucinato) su un mondo che l’occhio umano osserva attonito.
La grande e variegata mostra prosegue dunque con arditi ma assolutamente voluti accostamenti geo-politici: le iraniane Golsa Golchini e Golnar Etesam espongono accanto all’israeliana Hilla Ram. Ovvero, la cultura araba rappresentata da un grande tappeto persiano dipinto, collocato a parete, e da una meravigliosa installazione basata su ghiaia e una maschera recante scritte in arabo, accostata al grande dipinto incentrato sul muscolo cardiaco di Hilla Ram, opera cosmica e intimista allo stesso tempo. Un interrogarsi sull’Uomo e le sue culture e tradizioni come anche sull’Uomo tout court, sul suo nucleo biologico e corporeo, nel tentativo, generosissimo, di cercarne l’essenza e il comun denominatore.
All’insegna del discorso biologico-evolutivo anche l’opera del moldavo Lilian Istrati, una serie di quadri che mostrano l’evoluzione del bruco in farfalla. Mentre poderosi interrogativi sull’Uomo e sull’anima sembrano porsi le opere del francese Tudi Deligne (inchiostro su carta con aggiunta di spilli) e dell’albanese Eltjon Valle (olio e petrolio su tele di grandi dimensioni, volti umani “ricavati” dal petrolio che sembra sostituirsi, in essi, al sangue).

Negli ambienti di Palazzo Re, a partire dal 12 luglio 2008, si riformerà dunque sul terreno mai banale dell’Arte, la “Pangea”, il grande continente preistorico che accorpava tutte le terre emerse del pianeta prima della deriva dei continenti. Quella fortemente voluta da Diego Esposito e resa possibile dalla disponibilità del Comune di Giulianova, del proprietario di Palazzo Re signor Luigi Re, ma soprattutto dall’entusiasmo dei giovani artisti, è una sorta di visione utopica, una “Pangea artistica” che azzera le distanze geografiche esaltando quelle concettuali, creando insomma terreno di confronto tra culture e sguardi diversi.
La mostra, che sarà visitabile sino al 24 agosto, ha prodotto anche un ricco catalogo (Paper’s World) che contribuirà a conservarne il più a lungo possibile l’importante esperienza.

Matteo Fontana

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