lunedì 11 agosto 2008

Mostre. SPOLTORENSEMBLE 2008

SPOLTORENSEMBLE 2008

Take a deep breath
a cura di Francesca Referza e Antonio Zimarino

sede espositiva
Area Espò
Via Dietro le Mura, Spoltore (PE)

Opening 16 Agosto 2008 ore 19.00
Periodo mostra 16 – 26 agosto 2008
Orari di apertura 19,30 – 23,30
Gli artisti in mostra:
Serena Porrati (Milano, 1981), vive e lavora a Milano
Gino Sabatini Odoardi (Pescara, 1968), vive e lavora tra Pescara e Roma
Barbara Tucci (Chieti, 1978), vive e lavora a Chieti

Catalogo: in mostra
Ufficio Stampa: Ente Manifestazione Spoltore Ensamble tel. 0854962301
Info: www.spoltorensemble.it - info@spoltorensemble.it


Didascalie di Serena Porrati:
Serena Porrati, E rb, Cerastium Glomerata, 2007, still da video, 00:03:54Serena Porrati, E rb, Taraxacum Officinale, 2007, still da video, 00:07:35
Didascalie di Gino Sabatini Odoardi:

Gino Sabatini Odoardi, Senza titolo in fumo, 2008
installazione composta da 12 elementi:
ferro, vetro, grafite e foto montate su mdf
dimensione installazione: cm. 30 x 70 x 20 cad.

Didascalie di Barbara Tucci:

Barbara Tucci, Senza titolo (Port Antonio), 2006
Barbara Tucci, Senza titolo (Winniefred), 2006


francesca referza
francescareferza@gmail.com
m+39 338 4290085














Take a deep breath
di francesca referza

Take a deep breath, mostra organizzata nell`ambito di Spoltore Ensemble 2008, festival giunto alla XXVI edizione, presenta un video di Serena Porrati (Milano, 1981), un`installazione fotografica di Gino Sabatini Odoardi (Pescara, 1968) e otto fotografie in bianco e nero di Barbara Tucci (Chieti, 1978).
Il titolo in inglese, che tradotto letteralmente significa Fai un respiro profondo, e` in realta` lo slogan che accompagna il logo di Skype, un software, ormai diffussissimo, che consente, tramite web, messaggistica istantanea, videochiamate e scambio di file, in modo del tutto gratuito, oltre che chiamate a basso costo su cellulari e telefoni tradizionali. Aldila` della fonte della frase Take a deep breath, che comunque nella versione in italiano del software diventa Parliamo, il riferimento semantico immediato che si intende suggerire in mostra e` al respiro, sia a quello naturale che artificiale. I lavori, infatti, alludono non solo a quello umano, come in alcuni scatti di Barbara Tucci, ma anche a quelli fisiologici delle piante del video di Serena Porrati piuttosto che a quelli inquinanti delle fabbriche di Gino Sabatini Odoardi, poeticamente diversi l`uno dall`altro.
In realta` nel titolo della mostra c`e` anche una riflessione sul tempo, a mio avviso una dimensione del tutto alchemica nella sua costante possibile oscillazione tra l`essere oggettivo e soggettivo. Si perche` tempo meccanicamente misurabile e tempo interiormente percepito quasi mai coincidono. La lentezza, o al contrario velocita`, dello scorrere del tempo e` una questione di carattere emozionale che poco o nulla ha a che fare con la convenzione universalmente condivisa della sua misurazione. Take a deep breath suona dunque in quest`ottica come un invito ad aprire una sorta di autonoma bolla temporale rispetto allo scorrere del tempo normalmente inteso, per respirare piu` liberamente. Nelle intenzioni curatoriali, dunque l`invito a respirare profondamente e` piuttosto uno sprone a ritagliarsi del tempo proprio, intimo, un tempo con la lettera minuscola per riflettere con calma a prescindere dallo scorrere del Tempo, quello del resto del mondo. La riflessione sul tempo, implicita nel titolo della mostra e che potrebbe estendersi all`influenza di questo fattore sull'atto creativo e di conseguenza sull'opera d`arte, intende in realta` rimanere come sospesa, come sospeso e` il tempo che si invita a trattenere per se`.
Il mio lavoro – spiega la milanese Serena Porrati - indaga la condizione del mondo naturale all'interno dello sviluppato/degradato paesaggio urbano. La natura, come mostrato nei miei lavori, è un elemento nascosto della nostra cultura contemporanea la cui essenza e presenza è costantemente negata e sopraffatta dai nostri spazi costruiti. Come risultato, la mia visione può anche essere letta come una sorta di ricerca sul rapporto tra l`essere umano ed i suoi ambienti artificiali. Indago l'atteggiamento umano verso il reinventare l'idea di natura attraverso l'analisi delle pratiche agricole o le abitudini al giardinaggio o l`idea piu`contemporanea di paesaggio pubblico e luogo ameno. Negli ultimi tre anni mi sono concentrata sulle erbe infestanti e sugli organismi naturali che possono adattarsi a condizioni fortemente alteratee a tutti i tipi di inquinamento determinato dagli esseri umani. Sono interessata a tutte le forme di vita non umana che convivono o interagiscono con la diffusione incontrollata della civiltà, esseri viventi che possono prosperare nella città traendovantaggio da strutture artificiali come le metropolitane, le ferrovie, le fogne e gli edifici. I miei film, video e fotografie sono basati su specifici studi ecologici, urbani, storici e sociali, per questo motivo alcuni dei miei progetti sono state realizzati in collaborazione con scienziati, studenti e cittadini.
Avena selvatica, Cakile marittima, Chelidonium majus, Cirsium avense, Conyza canadensis, Lamium purpureum, Melilotus albus, Malva parvifolia, Papaver rhoeas, Raphanus raphanistrum, Senecio vulgaris, Silene vulgaris, Sochus asper, Taraxacum officinale, Viola tricolor, sono solo alcuni dei nomi botanici delle erbe e delle piante infestanti catalogati in due anni di ricerca elencati in ordine alfabetico, come nei titoli di coda di un film, alla fine del video di Serena Porrati. E rb, sottotitolo considerations on nonhuman life in the cities, e` un video digitale della durata di cinque minuti, realizzato tra Milano e Los Angeles tra giugno 2006 e maggio 2007. E rb - precisa l`artista - è un progetto audio-visivo basato sulle diverse specie di piante che crescono in un ambiente urbano. Il video è composto da diverse scene e situazioni che rappresentano piante che hanno la capacità e la forza di sopravvivere e di riprodursi in condizioni estreme. Un catalogo di tutte le forme di flora che possono adattare il loro sistema biologico ed il loro comportamento ad elementi non naturali all'interno della città, come la luce elettrica, l`inquinamento e i rumori. In ecologia, questo processo è noto anche come `resistenza`. Tutte le piante sono state riprese per 1-2 minuti e poi sono state identificate con il loro nome botanico. Ogni singola sequenza è stato montata in ordine alfabetico. Il risultato di questo lavoro è un erbario sonoro in movimento che può anche essere letto come un`analisi non convenzionale della biodiversità urbana contemporanea. La visione di questo lavoro video e` accompagnata da un piccolo libro intitolato "Thriving in the city" che informa lo spettatore su comportamenti e propagazione delle erbe infestanti.
Suoni dalla natura e rumore del passaggio di un aereo, immagini a fuoco che sfumano nel fuori fuoco fino a sembrare dettagli di un quadro impressionista e viceversa. Il video si gioca tutto su questo sistema binario che, soprattutto con il sonoro ci racconta dello spostamento geografico tra Italia e Stati Uniti e quindi del relativo spaesamento temporale, ma anche di una silenziosa e ostinata forma di ibridazione tra naturale e artificiale. Le piante e le erbe del video, protagoniste assolute con i loro colori e le loro forme sinuose, sopravvivono ai margini della citta`, negli spazi ridotti lasciati vuoti dal cemento e dall`asfalto grazie d una tenace forma di resistenza che le umanizza. Al punto che, nonostante i rumori di fondo delle due citta`, ci sembra quasi di sentirle respirare.

Il bicchiere di Gino Sabatini Odoardi, che Angela Vettese ha giustamente definito ‘La messa in scena di un’ossessione’, nell’istallazione Senza titolo in fumo (2008) pensata appositamente per Take a deep breath, si presenta non più termoformata, come nei lavori recenti dell’artista, bensì nel suo volume trasparente, apparentemente svuotato al suo grado minimo, quello di contenitore. Dopo averlo presentato colmo di vino, gesso cristallizzato, cartine oceanografiche, inchiostro, latte e altro ancora, Gino Sabatini Odoardi ha riempito quello che ormai può considerarsi un suo marchio registrato, di grafite, minerale di colore grigio nero e lucentezza metallica. Ad ogni bicchiere, poggiato su una mensola fissata a metà parete, corrisponde dietro, una fotografia di una voluta di fumo. Le immagini colpiscono per la consistenza quasi tridimensionale delle nuvole di fumo, ciascuna come disegnata a matita da una mano diversa, essendo gli scatti simili tra loro, eppure differenti nei particolari dei volumi e nelle sfumature di grigio.
Le foto che ho fatto l'inverno scorso – spiega Gino Sabatini Odoardi - sono relative ad uno stabilimento che si occupa di olio di sansa. Lo stabilimento macina noccioli di olive per ottenere forme alternative di riscaldamento. In effetti la sansa, residuo della spremitura e torchiatura delle olive, ulteriormente trattata, è utilizzata come combustibile. Dunque con grande coerenza rispetto al suo modus operandi e alla sua ricerca, ma anche con estrema adesione rispetto alla tematica della mostra, Gino Sabatini Odoardi ha realizzato una installazione fotografica di forte impatto emotivo e scenografico. Si perché le fotografie dei fumi che sembrano uscire dai bicchieri - ciminiere, colmi di un lunare residuo minerale, appaiono a tutti gli effetti la condensazione visiva di un respiro industriale. Lo stabilimento che li emette, tuttavia, non è quello di un’industria pesante e dunque inquinante per definizione, bensì uno stabilimento che ricava energia, producendo combustibile, da materiale organico. Come da un punto di vista diverso, il video di Serena Porrati, indaga il microcosmo delle piante in grado di adattarsi e quindi sopravvivere all’inquinamento e al soffocamento del cemento delle città, analogamente Gino Sabatini Odoardi, ha, a mio avviso, fatto una riflessione poetica e al tempo stesso assolutamente attuale, sul respiro della terra e sul suo destino futuro, senza ovviamente la pretesa di affrontare il problema da un punto diverso da quello generato dall’occasione della mostra. Una forma di attenzione alla natura che tuttavia, come suggerisce lui stesso, contempla la poetica di Joseph Beuys, che proprio in Abruzzo trascorse gli ultimi quindici anni della sua vita.
Questo tipo di bruciatura – precisa a tal proposito l’artista – produce un fumo molto denso, a tratti scultoreo… sembrano quasi bassorilievi disegnati. Inoltre l'associazione con la grafite (nel bicchiere) da un lato permette la relazione alla grafia stessa e dall'altra testimonia una sorta di polvere/cenere, traccia ‘volatile’ della cremazione avvenuta, o meglio da venire.
Le otto foto di Barbara Tucci scelte per Take a deep breath, tutte in bianco e nero e rigorosamente Senza titolo (salvo poi contenere una indicazione in parentesi utile all`artista per catalogarle), in realta` colgono momenti e situazioni molto diverse l`una dall`altra, ma che in qualche modo condividono una stessa atmosfera emotiva. Si tratta di tre foto di interni (Port Antonio e Winniefred, due localita` giamaicane e Stivale), di un dittico (Veniero 1 e 2) e di tre foto di paesaggi naturali (Linea neve, Cavalli e Strada).
Pur appartenendo le foto a periodi diversi (si va dal 2005 al 2008), le si e` collegate l`una all`altra pensando alla ciclicita` dell`atto del respirare in una alternanza di aperto/chiuso/aperto corrispondente agli ambienti fotografati. La sequenza delle foto rispecchia infatti un movimento quasi impercettibile che dallo spazio semiaperto di Port Antonio, in cui una stanza e` invasa dalla luce proveniente da sinistra, di cui l`ombra a terra segna l`intensita`, passa attraverso l`ariosita` della stanza di Winniefred per arrivare alla massima chiusura di Stivale, foto quasi claustrofobica nella sua riduzione di luce e di spazio, limitato ad una porzione di pavimento. Dall`atmosfera barocca di Stivale, sorta di natura morta contemporanea, si passa al dittico Veniero che di fatto, con un interno chiuso ed uno semiaperto, rappresenta il momento centrale della sequenza di foto di Barbara Tucci. In questi due scatti del 2005, che hanno piuttosto l`aspetto di due disegni a carboncino, la fotografa abruzzese tradisce uno sguardo ancora narrativo, nel tentativo di cogliere quasi per intero le due stanze della casa di un artista, una interna ed una esterna, poi del tutto sparito in Stivale del 2008. Lo spazio semiaperto di Veniero 2, segna l`inizio della sequenza delle tre fotografie di ambienti naturali che vanno dal forte contrasto di Strada allo sfumato di Cavalli fino all`ariosita` e luminosita` dell`orizzonte innevato di Linea neve, in cui sembra di sentire l`aria entrare nelle narici.
Il legame naturale che, nella sequenza appena descritta, ogni foto stabilisce con la successiva, consente dunque di parlare di un ritmo interno alle foto, molto vicino a quello del respiro, sia esso quello delle ombre, degli oggetti o dei paesaggi di Barbara Tucci. Inoltre la corrispondenza formale (luminosita`, linee, taglio fotografico, ecc..) che e` possibile stabilire in modo simmetrico tra la prima e l`ultima foto della sequenza, rappresenta una sorta di conferma visiva della chiave di lettura data alle immagini.
La riflessione a margine su Barbara Tucci fotografa e` sulla intensita` del suo sguardo, tanto piu` forte quanto piu` capace di sottrarre. La sensazione rispetto a cio` che si vede, nelle foto in cui questa sottrazione e` maggiore, e` quasi tattile o meglio, sinestetica.

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