martedì 14 aprile 2009

Terremoto. Riceviamo dal collega Giovanni Lattanzi

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Per chi non è stato nelle zone terremotate è difficile immaginare l’entità delle devastazioni. Anche vedendo foto e filmati non si percepisce la tragedia in tutta la sua interezza. Una città, il suo territorio, i paesi della valle, e poi le chiese, i castelli, i centri storici, tutto è distrutto. Non so cosa possa essere salvato, sicuramente qualcosa, forse più di qualcosa, ma di certo il danno è enorme.Ora piante le vittime e sanati i feriti, stabilizzata la situazione dei senzatetto, verrà a breve il momento di pensare al domani. Il primo passo sarà dare una casa a chi l’ha persa, in una parola: ricostruire. Ma qui non si tratta di una città moderna, bensì di un grande museo all’aperto, di una metropoli di fondazione medievale stratificatasi nei secoli, ricca di una infinità di edifici storici, costellata di chiese, di palazzi nobiliari, di monumenti. Non si può pensare di ricostruire ex novo dimenticando il passato. Non lo si può fare a L’Aquila come non lo si può fare nei borghi. Erano si povere case, ma avevano secoli di storia.Ho grande rispetto per Berlusconi, ma la soluzione della città satellite è una follia. Spendere soldi per realizzare una L’Aquila 2, occupando altro territorio, ampliando la superficie urbana, viene giustificato con la necessità di dare subito casa a chi l’ha persa. Una sana motivazione, senza dubbio, ma cosa nasconde? Cosa si farà dopo dell’Aquila vera? Di quella storica? Ci saranno i soldi per ricostruirla? Diverra una città morta o non cadrà forse in mano agli speculatori, a quei palazzinari che oggi potrebbero ricomprare le case distrutte per un tozzo di pane, restaurarle magari con i soldi dello Stato, e poi rivenderle un domani a caro prezzo lucrando sul terremoto? Il patrimonio artistico è una ricchezza immensa con la quale non si può scherzare, così come lo sono le radici e la memoria delle popolazioni: non si possono tagliare.L’Aquila è degli Aquilani e deve restare degli Aquilani. Così come i borghi sono dei paesani e devono restare loro. La ricostruzione è una sfida seria per tutti noi, e va vissuta con grande impegno da parte delle popolazioni ma soprattutto di chi, per lavoro, si occupa della tutela della cultura. Io sono un semplice giornalista, addirittura un pubblicista, neppure professionista, e non mi arrogo il diritto di fare e disfare delle altrui cose. Però non posso restare inerte davanti a quanto è accaduto e soprattutto davanti a quanto potrebbe accadere. Non posso far finta di nulla sapendo che il futuro di quelle terre e delle loro genti dipende in maniera assoluta dalle scelte che verranno fatte ora per quanto concerne la ricostruzione. Non ho grande voce in capitolo, non vengo invitato alle tavole rotonde, non sono ospite in tv, non vengo chiamato dai politici. Ho solo questa rivista online, che pago di tasca mia e vive del volontariato di bravi amici, per cui conto come il classico “due a coppe quando comanda bastoni”, ma sono vent’anni che mi occupo di beni culturali, sono abruzzese e davvero non posso girare la testa dall’altra parte per non vedere cosa accade. Magari andrà tutto benissimo, ma per dormire tranquillo ne devo essere certo e devo avere la coscienza a posto sapendo di aver fatto tutto quello che potevo fare. Non mi perdonerei mai un domani di tornare nell’aquilano e scoprire che quel mondo fantastico che ho tanto amato non esiste più per colpa di scelte scellerate e commistioni di interessi economici, ma peggio ancora per cecità e superficialitàOra si decide il futuro dell’Aquila e della valle dell”Aterno, ma anche dell’intera regione. Il futuro economico di quelle terre non può essere nell’industria, che ha già ampiamente fallito la sua missione, ne può essere nell’apertura indiscriminata di centri commerciali (hanno gia una densità per abitante altissima rispetto alla media nazionale). Parte del futuro è nell’università e nella ricerca, senza subbio, ma la gran parte è nel turismo di qualità, supportato dalle produzioni agro-alimentari tipiche. E il turismo di qualità si fa solo in un territorio di qualità, che ha il suo tessuto urbano e il suo paesaggio intatti, rispettati; i suoi monumenti e i suoi musei ben conservati, integri, meritevoli di ammirazione. L’esistenza o meno di tutto questo dipende appunto da come si ricostruirà. E si decide ora. E io non posso restare indifferente alle scelte che verranno fatte.Non posso fare molto, ma ritengo doveroso proporre a tutti i lettori un ideale manifesto per la “ricostruzione possibile”, direi la sola possibile. Una raccolta di punti di principio, ampliabile e modificabile, ma che racchiude un dovere: ricostruire come era, dove era. Tutelando tutto quel che è storico e antico, dal grande monumento alla piccola casa di paese. Questo è anche un appello a tutti gli uomini e le donne sensibili, che guardando nel loro cuore, al di la di ogni privato interesse, si accorgeranno che esso batte per dei principi e per delle emozioni. Ora è il momento di farle prevalere su tutto, per salvare il cuore antico dell’Abruzzo e il futuro delle sue genti. Ora, e non domani.Condividiamo alcuni principi:Edifici storici recuperabiliTutti gli edifici storici e antichi in grado di essere recuperati, a tutti i livelli di importanza, vanno salvati a qualsiasi costoEdifici storici non recuperabiliQuel che di antico non è purtroppo sanabile in alcuna maniera va demolito ma ricostruito subito “com’era e dov’era”. Questo deve avvenire recuperando ovviamente tutti i materiali edilizi storici come gli elementi decorativi, i portali, le cornici delle finestre; l’edificio va poi ricostruito mantenendo quanto più possibile l’aspetto esterno, nel medesimo luogo, con gli stessi volumi e rimontando le decorazioni originaliEdifici moderni (dal dopoguerra in poi) non recuperabiliLa ricostruzione è inoltre la straordinaria occasione che abbiamo per eliminare dai paesi e da L’Aquila gli orribili edifici costruiti nel dopoguerra, quei mostri di cemento armato figli della speculazione edilizia e dell’ignoranza architettonica del boom economico. Molti di essi sono danneggiati e vanno abbattuti, ma al loro posto dovranno sorgere nuovi edifici il cui aspetto e la cui forma siano consone allo stile del luogo, edificati con le tecniche più moderne ma il cui esterno sia realizzato con i materiali e le linee della tradizione.Il nuovo: un decalogo per costruire secondo tradizionePer evitare gli errori e le brutture del passato recente, dal dopoguerra a oggi, è infatti necessario che venga studiata e stabilita una serie di modelli estetici per le abitazioni di nuova costruzione, con l’impiego (nell’esterno) dei materiali tradizionali di queste terre, ossia pietra, legno, mattone. Lo stesso deve valere per i colori delle pareti e per le forme degli elementi accessori, come porte, portali, finestre, camini. L’Università e la Soprintendenza dovranno varare un vero e proprio decalogo costruttivo che dovrà poi essere imposto a tutti i comuni del territorio, in maniera rigorosa. L’interno delle nuove abitazioni sarà quindi solido e antisismico, ma l’aspetto esteriore deve necessariamente essere in armonia con il territorio e il borgo.Evidenziare i centri storiciSia per quanto concerne le ricostruzioni degli edifici moderni che richiedono la demolizione per via dei danni provocati dal sisma, sia per quanto riguarda quelli che nel futuro si aggiungeranno agli esistenti, essi andranno costruiti (o ricostruiti) fuori e lontano dai centri storici dei borghi e dai grandi monumenti, in maniera da isolare e far risaltare il nucleo storico dei paesi.Solo così sarà possibile ridare a queste terre un volto umano e tradizionale, facendone davvero un luogo di forte valenza turistica, con una grande prospettiva di sviluppo. Mi auguro che vorrete condividere e divulgare questo appello.
Giovanni Lattanzi

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