giovedì 21 maggio 2009

Andretti e Indy, 40 anni fa, riceviamo da Lino Manocchia

Andretti e Indy, 40 anni fa

di Lino Manocchia

INDIANAPOLIS, 20 Maggio ’09 - Quarant’anni or sono, un giovane emigrato da Montona (Istria), con i genitori sfuggiti agli orrori dei comunisti, scendava dalla fumante STP Special costruita dall’italo Americano Andy Granatelli, che abbracciava il “Paisà” e gli schioccava un’affettuoso, effuso bacio sulla guancia: Mario Gabriele Andretti (foto) aveva conquistato il mitico trofeo Wagner che premia il vincitore dell’altrettanto storica 500 Miglia di Indianapolis.
Per Mario Andretti si apriva un orizzonte senza fine, che, a distanza degli anni, sembra brillare sempre più.
Annesso nella Hall of Fame per il suo palmares che conta 29 partecipazioni alla mitica corsa dell’Indiana dove ha concluso per ben 11 volte tra i primi dieci, Mario, definito “Piedone” dal grande Jim…
E’ ancora sulla breccia delle corse al seguito prima del figlio Michael, adesso del nipote Marco sul quale riversa ovviamente tutta la sua esperienza, passione e coraggio per tentare il varco in F.1 del precoce “principino” di casa Andretti. (nella foto, i tre andretti)

«Ho vinto soltanto una volta, ma il palmares mi pone al secondo posto della storia di Indy per i ripetuti piazzamenti,» commenta Mario, che non si è mai accontentato soltanto di Indy ma è sfociato nella Usac della quale detiene il titolo, nella Nascar, dove ha impartito lezioni di guida malgrado la grande esperienza dei rivali, ed i multipli titoli di diverse categorie. «Io e te,» dice A.J.Foyt, un’altro mito di Indianapolis, «abbiamo vinto tutto quanto c’era da vincere. Mi manca soltanto il prestigioso titolo di Formula uno, e per questa mancanza mi batti.»
Già, perché Mario “Piedone” con la Lotus conquistò il massimo alloroper poi proseguire nella marcia trionfale contro avversari del calibro di Dan Gurney. «Indubbiamente la vittoria di Indy per me rappresenta il fulcro della mia carriera. Successo che Andy Granatelli cercò per anni, con coraggio ed abnegazione con la sua Novi e le turbine, non contento soltanto di aver “creato” la famosa Atp.

INDY 2009
Quest’anno, ancora una volta, Mario sarà al pit del nipote Marco che guiderà una vettura del padre Michael, patron e “conduttore” di Tony Kanaan, Danica Patrick ed il 22enne Marco, che partirà ottavo nella griglia di partenza. Per l’occasione la famiglia Andretti si ritrovera’ al tavolo per consumare una affettuosa colazione. Al “patriarca” (Mario) si affiancherà il fratello-gemello Aldo, anch’egli un tempo valido pilota,
il figlio John che guiderà una macchina col n umero 43, adottato dall’altro grande asso delle stock Richard Petty, ed il proprietario dei team Michael, il quale per ben nove volte ha tentato di eguagliare il padre per numero di vittorie ad Indy.
Un momento storico, emotivo, se vogliamo, carico di memorie indimenticabili e successi che resero orgoglioso “Papà Gigi”, lavoratore indefesso che fece di Nazareth la sua Patria adottiva.
Un solo desiderio assilla Mario.«Se... la gara di Indy fosse stata di 400 miglia, il mio palmares oggi
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ABRUZZOpress – N. 179 del 20 Maggio ’09 Pag 2

sarebbe gonfio di trionfi veramente indimenticabili. Purtroppo il successo venne meno per la durezza
della corsa ed il cedimento di qualche motivo tecnico che tarparono le ali al mio successo.»
Ma questa è la bellezza di Indianapolis che conserva un tocco di magico, tradizione, popolarità.


Per Mario vuol dire: Non dimenticare e non far dimenticare che hai vinto la 500 miglia di Indy, cosa grande, sospirata da centinaia di illustri e medi piloti del mondo. Questa è la bellezza dello sport automobilistico, dei dediti fans che apprez-zano il buono, il bello, il grande.

DOVEROSA DOMANDA: Chi vincerà la 93ma edizione di Indianapolis? Tutti, ma soltanto uno potrà baciare la mitica coppa d’argento, incasserà il milione e passa di dollari e darà il benvenuto al successo che lo seguirà per tutta la vita.
Perché, come afferma Emerson Fittipaldi: «Se vinci ad Indianapolis, ti assicuri una speciale pensione a vita.»
Mai più veritiera affermazione, poiché si dimenticano le giornate uggiose o afose, ma quel sorso di latte trangugiato alla fine della gara mettono il vincitore su un piedistallo che non perderà mai il lustro.
LINO MANOCCHIA

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